Che cos’è la disabilità? Domanda apparentemente semplice ma che lascia spazio a numerose definizioni, spesso ricche di stereotipi e pregiudizi. Con questo articolo vi racconterò l’excursus storico e sociale che ha portano alla definizione attuale di disabilità.

Il modello medico individualistico

Un primo modello che ha cercato di definire la disabilità è quello risalente agli anni Settanta in cui la disabilità veniva inquadrata come un problema medico del singolo individuo o come una “tragedia personale”, a carico della famiglia che si trovava a gestire le difficoltà in completa solitudine. L’OMS, negli anni 70, seguendo questo approccio definisce una classificazione internazionale delle malattie differenziando tra menomazione, disabilità ed handicap.

  • Menomazione: si intende la perdita o l’anormalità di qualche struttura o funzionalità e quindi tale definizione riflette il disturbo a livello d’organo.
  • Disabilità: si intende invece la limitazione o la perdita derivante dalla menomazione rispetto alla possibilità di compiere qualsiasi attività nelle modalità considerate “normali”. La disabilità si configura come l’oggettivazione della menomazione e come tale riflette il disturbo a livello della persona.
  • Handicap: si intende la condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona, conseguenza di una menomazione o di una disabilità; rappresenta la socializzazione di una menomazione o di una disabilità, ovvero mostra come l’handicap sia tale in base al contesto nel quale la persona si trova a vivere subendone le conseguenze culturali, sociali, economiche e ambientali. Lo svantaggio deriva dalla diminuzione o dalla perdita delle capacità di conformarsi alle aspettative o alle norme proprie dell’universo che circonda l’individuo

Il modello sociale della disabilità

Negli anni ’80, grazie ad azioni messe in atto da attivisti e scrittori disabili già a partire dalla metà del xx° secolo in Gran Bretagna, è stato possibile superare l’approccio che poneva attenzione solo ai bisogni primari del disabile considerato inutile, sfortunato, diverso, e come tale isolato dal contesto sociale dei cosiddetti normodotati. Nasce così il nuovo paradigma definito “social model of disability” grazie al quale si inizia a vedere il disabile come persona di pari dignità rispetto ad un normodotato, non più bisognoso di cure ma piuttosto come persona con i propri diritti. Si supera per la prima volta una posizione compassionevole, ahimè portata avanti spesso da parte delle persone disabili stesse che continuano a mettersi nella posizione di “colui che necessità di…” piuttosto che nella posizione del cittadino, che in quanto parte di una società ha, al pari degli altri, il “diritto di”.

Un modo di vedere la disabilità non più di ellenica memoria dove solo il kalos (bello) era compatibile con l’agatos (buono), o come ci racconta Plutarco “non conveniva infatti né alla polis, né al bambino stesso che fosse lasciato crescere per restare sempre debole e dal fisico infelice”, tanto che venivano lasciati morire, o gettati dal monte Taigeto.

Differenza tra menomazione, disabilità e handicap

Ne derivano nuove definizioni:

  • Menomazione: che diviene “la mancanza di una parte di un arto o di un intero arto, ovvero la circostanza di avere un arto o un meccanismo del corpo difettosi”,
  • Disabilità: che diviene lo svantaggio o la restrizione di attività causati da una organizzazione sociale contemporanea che tiene in conto poco o per nulla le persone che hanno impedimenti fisici e perciò le esclude dalla partecipazione alle normali attività sociali. E’ la “discriminazione istituzionalizzata”, responsabile dello svantaggio vissuto dal disabile, i problemi sono causati dagli ambienti disabilitanti, che passano attraverso le barriere fisiche e culturali.

Il modello sociale della disabilità ha permesso di concentrarci esattamente su ciò che nega i diritti umani e civili dei disabili e sulle azioni che è necessario intraprendere per garantirli, in linea con la Convenzione ONU secondo la quale garantire i diritti umani significa tutelare le libertà fondamentali e permettere quindi ai disabili di averne il pieno godimento senza discriminazioni; eliminando tutto ciò che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di parità con gli altri.

Il modello delle Capability

Un ulteriore modello, mutuato dall’ambito economico, è quello delle “capability”, teorizzato da Sen. Elemento centrale di questa prospettiva, applicata al mondo della disabilità è quello della diversità, considerata una caratteristica propria dell’umanità.

Le differenze individuali, siano esse di natura fisica, psicologica, sociale, ambientale o economica determinano una diversa capacità di trasformare beni e risorse in opportunità concrete e poi in conseguimenti reali.

La disabilità è solo uno dei molteplici fattori che possono incidere su questo processo di trasformazione. Le “capability”, le competenze di ciascuno sono centrali nel costruire un intervento mirato che implementi la qualità di vita delle persone con disabilità. Secondo questo approccio le persone diventano attori del proprio processo di empowerment, nel raggiungimento di una migliore qualità di vita, che tenga conto delle specifiche esigenze di ognuno. Laddove, la persona con disabilità, non può essere il portavoce di se stesso, si attinge alle sue risorse esterne, i caregiver in primis. Questo modello supera le differenziazioni portate avanti dai modelli precedenti: la persona disabile diventa parte attiva del processo di inclusione e di soddisfazione dei propri desideri.

Si riconosce come ciascun individuo sia diverso dagli altri nelle caratteristiche personali, per le circostanze sociali e ambientali in cui vive, nella capacità di convertire risorse personali, sociali, economiche e culturali in funzionamenti a cui dà valore.

Freedom, well-being e agency

Centrale nell’approccio seniano è il concetto di libertà (freedom) inteso, in primo luogo, come libertà di scelta. La possibilità effettiva di scegliere liberamente quali azioni intraprendere, quali traguardi realizzare, quali piani di vita perseguire attribuisce un valore non solo strumentale ma intrinseco alla concezione di libertà. Poter liberamente disporre tra una pluralità di opzioni disponibili nello spazio dà sostanza e valore all’idea di sviluppo e di benessere. Le effettive realizzazioni di benessere (well-being achievement o functionings), corrispondono a ciò che l’individuo ha scelto di fare o di essere per sé o per altri, mettendo in atto la propria facoltà di agire (agency). il capability approach consente di superare il dilemma delle differenze: esso, infatti, si focalizza sulle specificità della situazione e dei bisogni del singolo, senza imprigionarlo con una etichetta immutabile. Non è più necessaria alcuna etichetta che ci definisca allora che cos’è la disabilità, o la menomazione o l’handicap.